Pro o contro immigrazione? E se la domanda giusta non fosse questa?
Per quanto da settimane i notiziari ci stiano convincendo che tutto il mondo giri esclusivamente attorno a tre notizie… Covid, politica italiana e presidenziali in USA, forse non vi saranno sfuggite le impressionanti immagini di migliaia di migranti che a piedi e con mezzi di fortuna stanno cercando di attraversare gli stati del centro America, probabilmente incoraggiati dai discorsi di Biden.
Una marea di 8-9.000 persone che sperano di raggiungere gli Stati Uniti, molte delle quali provenienti dall’Honduras devastato dagli uragani Eta e Iota e altre provenienti da altri paesi attraversati durante il viaggio e che lasciano i propri pochi averi per cercare fortuna in un paese più ricco e con maggiori opportunità di lavoro.
Ora la domanda non è solo se le migliaia di disperati riusciranno a giungere negli USA, ma quale sarà davvero il loro futuro se dovessero riuscirvi.
Partiamo da un dato di fatto: l’uomo è sempre stato in movimento alla ricerca di migliori condizioni di vita. Si parte perchè vittime di fenomeni naturali come un terremoto oppure di vicende umane come guerre e povertà, e sappiamo che non c’è ostacolo che tenga: nè naturale come catene montuose e mari, nè difese artificiali come muri e reticolati…. chi vuole andarsene dal proprio paese prima o poi ci riuscirà.
Lo sappiamo bene anche in Italia, dove da diversi anni vediamo lo sbarco quotidiano di migranti stranieri sulle nostre coste.
Ebbene ciò che mi ha sempre stupito è come i giudizi nel nostro Paese si siano sempre divisi semplicemente e banalmente tra pro e contro immigrazione, senza analizzare in modo concreto le dinamiche legate ai flussi migratori e senza mai lavorare ad una proposta realizzata con buon senso che favorisse sia le popolazioni autoctone sia quelle immigrate.
Se è vero che nessuno può proibire ad un altro uomo di cercare una vita migliore ed è naturale che ciò avvenga verso i paesi più sviluppati, dall’altra non si può non ammettere come l’ingresso di numerosi immigrati in uno stato dove non si integreranno, possa portare a gravi conseguenze: da una parte molti stranieri cadranno nelle mani della criminalità organizzata divenendo malviventi o schiave delle reti che gestiscono la prostituzione, dall’altra cresceranno i sentimenti di intolleranza e discriminazione verso coloro che saranno considerati solo un problema per la propria nazione.
A tal proposito ho trovato per l’Italia un dato aggiornato al 2019, quando i detenuti stranieri delle carceri erano il 33,6% del totale di tutti i detenuti: un dato notevole se si considera che gli stranieri residenti costituiscono solo l’8,7% della popolazione complessiva.
Ora non ci vuole molto per capirlo: tra chi raggiunge la tanta desiderata meta senza poi trovarvi alcuna opportunità di lavoro e di benessere vi sarà senz’altro chi ripiegherà con lavoretti di fortuna, chi verrà raggirato, chi diverrà un delinquente.
E se invece il suo arrivo in Italia fosse stato condiviso dal nostro Paese? Ipotizziamo cioè un viaggio e una collocazione programmati: al suo arrivo lo straniero non giunge in centri da cui sperare di fuggire, bensì viene trasferito direttamente presso aziende alla ricerca di manovalanza, dove trovare un domicilio che potrà pagare con parte del proprio stipendio e corsi obbligatori sulla lingua italiana e sulle leggi del nostro paese. Fantascienza? Eppure ogni anno ci vengono riportati dati sorprendenti: da una parte una crescente disoccupazione (e dopo un anno e più di Covid la situazione non potrà che peggiorare drammaticamente), dall’altra la difficoltà degli imprenditori del Belpaese nel reperire personale, in particolare in alcuni settori dove gli italiani non vogliono più essere impiegati e in alcune aree del paese ormai abbandonate dai giovani (si pensi all’agricoltura, all’allevamento e alla manutenzione dei boschi in prossimità dei piccoli borghi isolati).
Si dovrebbero considerare anche la presenza di stranieri qualificati, le criticità legate inevitabilmente ai primi periodi dell’integrazione, e il tutto dovrebbe partire da una forte collaborazione con il paese d’origine di tali immigrati: ambasciate e consolati già ivi presenti dovrebbero gestire in collaborazione con le autorità del luogo la divulgazione di tutte le informazioni per cui si debba preferire ad un viaggio rischioso ed illegale una scelta che è programmata dal paese in cui intendono andare. Ciò consentirebbe a quest’ultimo di poter gestire il flusso di immigrati sul proprio territorio, di interloquire con il proprio tessuto economico (piccole e grandi imprese, artigiani, commercianti, agricoltori) per favorirlo con manodopera difficilmente reperibile tra la popolazione residente. E, cosa altrettanto importante, ciò consentirebbe l’integrazione di tali stranieri nel nuovo paese, di cui impareranno la lingua, le leggi, ne rispetteranno gli usi ed i costumi, venendo così riconosciuti come parte integrante dalle comunità in mezzo a cui risiederanno.
L’obiettivo raggiunto sarebbe anche quello di fermare l’arricchimento di gruppi criminosi senza scrupolo, le violenze e gli stupri subiti durante il viaggio, la morte di migliaia di uomini trasportati su barconi stracolmi e in condizioni disumane.
So bene che la mia è una proposta troppo semplice per risolvere un problema estremamente complesso, e che non prende in considerazione una miriade di fattori, ma vuole essere soprattutto una provocazione a fronte di una situazione che i “paesi ricchi” sembrano continuare a tollerare senza investire in una visione strutturata che diminuisca la clandestinità e i problemi che ne conseguono.
E per chi pensa che ciò non sia possibile, ricordo l’esempio di Agitu Ideo Gudeta, pastora di 42 anni fuggita dall’Etiopia, che recuperò alcune razze autoctone di capre dando vita ad un allevamento e ad un caseificio in Trentino; forse pochi sanno che la sua attività era stata riconosciuta anche da Slow Food e dall’Expo di Milano nel 2015, durante il quale aveva rappresentato proprio il Trentino.
Al suo funerale erano presenti molti dei cittadini della valle in cui viveva ormai da 10 anni e la “Regina delle capre felici” rimarrà per loro il più bell’esempio di un’integrazione davvero riuscita, fondata su una delle attività più nobili che esistano: il lavoro.“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” Costituzione Italiana, Art.1