SULL’IMPORTANZA DELLE PAROLE
L’ultima in ordine di tempo è l’uscita infelice promossa dalla pagina facebook INPSPERLAFAMIGLIA, che scimmiotta la pagina ufficiale dell’INPS e che potrebbe avere anche una connotazione umoristica ma sceglie di cadere nel becerismo usando la L. 104 al puro scopo di offendere (di solito chi viene considerato meno intelligente rispetto al proprio sé).
Ma senza scomodare una singola pagina, e volendola beneficiare del dubbio che l’amministratore non abbia davvero riflettuto su quanto possono colpire certi termini usati a sproposito chi davvero “beneficia” della L. 104 (un beneficio è qualcosa di positivo, beneficiare della 104 significa invece avere una disabilità, una patologia che presume la non completa autosufficienza, o anche un tumore), basta farsi un giro tra le pagine dei propri contatti. Persone singole, che magari ci vogliono bene davvero e che conoscono la nostra situazione, ma che spesso in un momento di rabbia o piuttosto di frustrazione personale, usano una conquista importante come questa legge (o anche la L.68/99) per colpire chi ritengono stupido.
A volte capita che certi aggettivi vengano usati per ignoranza, si da della troia a chi magari ci sta semplicemente molto molto antipatica quando il termine “troia” è la volgarizzazione di tutt’altro, dell’handicappato a chi per raggiungere un risultato ad esempio lavorativo ci mette il doppio del tempo che ci metteremmo noi.
Non credo invece ci si possa giustificare con l’ignoranza in questo caso. Usare la 104 per dare dello stupido presuppone la conoscenza dell’argomento, sapere che questo tipo di tutela viene concesso a persone per così dire in difficoltà. Forse si può parlare di una limitata conoscenza dell’argomento, dato che di base non serve avere una patologia mentale per ottenerla ma piuttosto il paniere delle possibilità è molto ampio: pensa se un giorno, chi di solito si diverte ad usarla per offendere il prossimo, dovesse fare un frontale in macchina e rimanere paralizzato dalla vita in giù! Passerebbe da uno stato ridanciano di una cosa importante come una legge, a vincere il giorno dopo il diritto all’accompagnatoria. Divertente, no? Oppure se questa persona si ritrovasse a dover accudire un figlio, un parente, affetto da una grave patologia che può comparire all’improvviso, ad esempio un tumore o la SLA. Troverebbe divertente apostrofare il suo affetto con le stesse parole che avrebbe usato fino a qualche giorno prima per colpire qualcuno colpevole solo di essere più ingenuo?
Le parole sono importanti, e non serve essere disabili o ammalati cronici per saperlo. Basta aver avuto dei buoni insegnamenti alle spalle, da tutti a partire dalla famiglia. Ad un certo punto nessuna giustificazione regge, ognuno è responsabile personalmente di quello che fa.
Lungi da me ergermi a santa e pura di cuore, le cazzate scappano a tutti e noi disabili non ne siamo immuni, ma ci sono uscite infelici e ci sono cattiverie usate con consapevolezza.
In tutto questo mi pongo anche una domanda: come poter fermare tutta questa ignoranza emotiva che, ricordiamolo, non coinvolge solo i social. I social sono l’espressione moderna delle chiacchere da bar, e ritorno al punto di prima quando sostengo che ad essere responsabili di ciò che scriviamo e diciamo siamo noi, non proprio i social.
Michela Magaraggia