Salvare la bellezza per salvare l’umanità
“Il corpo ritrovato nel deserto probabilmente è di Khaled al Asaad”, ad annunciarlo è stata l’agenzia governativa siriana Sana, riferendosi all’archeologo che venne decapitato nel 2015 dall’Isis perché reo di aver protetto il suo museo.
La notizia mi ha suscitato subito una molteplicità di emozioni: eroismo, arte, bellezza… e ho pensato di condividere questa riflessione con voi.
Nel 1963 Khaled al Asaad fu nominato direttore del museo e del sito archeologico della città siriana di Palmira, carica che mantenne per più di quarant’anni. Riconosciuto come uno dei più importanti esperti nel campo dell’archeologia in Siria, fu proprio grazie al suo lavoro sulle prime civiltà insediatesi a Palmira che la città venne riconosciuta dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
A metà luglio del 2015 il famoso archeologo fu rapito dai militanti dello Stato Islamico e ripetutamente torturato affinchè svelasse dove si trovavano antiche e preziose opere d’arte nascoste prima dell’arrivo dei terroristi dell’ISIS. Dopo settimane di torture senza mai svelare il nascondiglio, il 18 agosto 2015 Asaad fu ucciso e il suo corpo decapitato e appeso ad una colonna.
Il suo è stato un vero atto di eroismo davanti alla follia distruttiva dell’ISIS, un sacrificio per salvare opere che voleva lasciare ai posteri, di cui lui conosceva il valore storico e la profonda bellezza.
Già, la bellezza… nulla di più soggettivo, o forse no…
Un concetto che ha catturato l’attenzione di studiosi e filosofi di tutto il mondo, consapevoli di quanta importanza potesse avere per l’umanità.
Bello, secondo Platone, è solamente ciò che coincide con il bene e kalòs kai agathòs (bello e buono) era l’ideale dell’eroe greco.
Aristotele, nell’elogiare l’arte quale strumento per suscitare passioni ed un effetto catartico sugli spettatori, è convinto che «le principali forme della bellezza sono l’ordine, la simmetria e il limite».
Per sant’Agostino la bellezza è addirittura emanazione della bellezza divina, che può essere colta dall’uomo con la propria anima: l’uomo percepisce una cosa come “bella” quanto più quella cosa si avvicina al divino.
Mentre la maggior parte dei pensatori antichi e di quelli medievali pone la bellezza oggettivamente al di fuori dell’osservatore, nel Settecento il filosofo scozzese David Hume sosterrà che «la bellezza non è una qualità intrinseca alle cose, ma esiste soltanto nella mente che le contempla, e ogni mente percepisce una bellezza diversa».
E un secolo dopo Georg Wilhelm Hegel affermerà che tutto ciò che è ideale è superiore a ciò che appartiene al mondo fisico e che l’essenza della bellezza può trovarsi solo nell’arte, in quanto essa origina dallo spirito, e non dal mondo naturale. Per Hegel il fine ultimo dell’arte non è quello di imitare la realtà, né quello di suscitare sentimenti: si tratta, piuttosto, di rivelare la verità attraverso una rappresentazione “sensibile”, cioè percepibile attraverso i sensi. L’opera d’arte riesce in tale intento perché è in grado di mediare tra spirito e materia, tra particolare e universale. In questo senso, l’arte rappresenta una tappa verso la liberazione dai limiti della natura e il ritorno alla piena comprensione di sé.
Ed eccoci giunti al concetto di bellezza da un punto di vista psicologico, quel sentimento di elevazione che può divenire bellezza morale. Ma esiste davvero?
Ebbene io ne ho avuto la conferma alcuni anni fa, quando accompagnai assieme agli insegnanti di mia figlia la sua classe di quinta elementare al Teatro alla Scala di Milano per assistere ad uno spettacolo dedicato ai più piccoli. Come era naturale tutti gli alunni stavano affrontando la visita come una delle tante gite scolastiche in cui svagarsi e divertirsi. Ma quando entrammo nel teatro successe qualcosa di sorprendente: tutti i ragazzini, compresi quelli tradizionalmente più vivaci, ammutolirono improvvisamente, la bocca semiaperta, lo sguardo rivolto verso la platea, i palchi, i tendaggi color rubino, le preziose decorazioni, gli stemmi dorati, i lampadari di cristallo… La bellezza li aveva non solo stupiti ma anche trasformati: il rispetto verso quell’incredibile eleganza era divenuto il rispettoso silenzio con cui avevano assistito all’intero spettacolo ed ammirato l’interno del teatro più bello del mondo.
Sull’argomento merita citare anche le parole di Peppino Impastato, vittima della mafia a cui non volle piegarsi: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».
È lo stesso pensiero dello scrittore russo Dostoevskij, convinto che la nostra capacità di sperimentare il senso del bello possa influenzare le nostre emozioni, i pensieri, le intenzioni e persino le nostre azioni verso l’altro.
E questo lo aveva ben capito Khaled al Asaad, quando si oppose alla distruzione delle opere di Palmira, che racchiudevano in sé quella bellezza di cui non voleva che fosse privata l’umanità. Un suo sacrificio, il suo, che ci deve ricordare come la bellezza sia una delle strade che conduce ad un senso di vicinanza e universalità rispetto al prossimo.
“La bellezza salverà il mondo”, Fëdor Michajlovič Dostoevskij