Giornata internazionale dei diritti della donna. Di parola ma non di fatto

È da poco trascorsa la Festa della donna o, come ben definisce Wikipedia, la Giornata internazionale dei diritti della donna che ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in molte parti del mondo.

Mai come quest’anno tg e social media ci hanno riempito di dati allarmanti: sulle conseguenze psicologiche, sugli abusi all’interno delle mura domestiche aumentati durante il lockdown, sui femminicidi che macchiano ancora drammaticamente il nostro paese.

Si è parlato anche di calo dell’occupazione femminile durante l’emergenza Covid, che in Italia è stato il doppio rispetto alla media Ue, con 402mila posti di lavoro persi tra aprile e settembre 2020.

Ma ciò che più mi ha stupito è stato il sentire tanti titoli senza articoli, ossia slogan di denuncia senza però un testo che riportasse proposte, ipotesi di soluzioni con la volontà di affrontare concretamente le tante problematiche che attanagliano il mondo femminile in Italia e che sono alla base del costante calo demografico nel nostro paese.

Le donne infatti sono delle incredibili equilibriste, specie coloro che tentano di gestire al meglio contemporaneamente la famiglia, il proprio lavoro, la casa… tentando di non cadere mentre si procede tra impegni e problemi quotidiani, senza trovare da parte delle istituzioni soluzioni che agevolino quel senso di responsabilità onnicomprensivo che la nostra società si aspetta da chi appartiene al genere femminile.

Non voglio riferirmi in particolare a questo ultimo anno, dove tutti possiamo solo immaginare la difficoltà di una mamma che tenta di lavorare in smartworking tra strida dei bimbi più piccoli e richieste di aiuto da parte dei figli in età scolare alle prese con la didattica a distanza.

Il problema riguarda più genericamente la mancanza di servizi adeguati alle diverse tipologie di lavoro. Un esempio su tutti: l’orario di una scuola materna che spesso termina a metà pomeriggio a fronte di un orario full time dei genitori. In altri paesi è la normalità per una commessa chiudere il negozio alle 19,00 e recuperare il proprio bambino nel vicino asilo, lavorare in una multinazionale e usufruire della scuola materna interna all’azienda. In Italia la normalità per i genitori è contare sui nonni che recupereranno i nipoti all’asilo e a scuola, li porteranno a calcio o a danza, faranno fare loro i compiti. E chi non ha i nonni vicini o non ancora pensionati? Si sceglierà un asilo privato ben più costoso di quello pubblico ma con maggiore flessibilità di apertura, oppure si ricorrerà a babysitter, oppure ancora si spererà di ottenere un part time o ci si licenzierà esauste di correre all’inverosimile per fare quadrare tutto ma non riuscendovi mai del tutto.

Il problema non è solo legato ad una questione di orari e mancanza di servizi: è e sempre sarà intrinseco nella donna il senso di colpa nell’avere cercato una propria gratificazione nel lavoro a scapito del tempo da dedicare ai figli. Un senso di disagio e di inadeguatezza che accompagnerà la donna fino a farle perdere parte della fiducia che aveva in sé stessa. Anche per questo lo stato deve dimostrare sensibilità ed attenzione al mondo del lavoro femminile.

Un lavoro peraltro trovato spesso con difficoltà e sacrificio perché, ammettiamolo con trasparenza, di fronte a due candidati di sesso diverso di pari competenza e talento, un’impresa ha la convenienza ad assumere un uomo, perché la donna potrebbe poi sposarsi, assentarsi per la maternità, con la conseguente necessità di trovare e formare un suo sostituto per tale periodo, potrebbe poi chiedere il part time oppure assentarsi frequentemente per problemi legati ai figli …

E allora ecco che è qui che dovrebbero intervenire le istituzioni. Invece di limitarsi a lanciare slogan come “le pari opportunità esistono solo a livello legislativo e non di fatto” si facciano proposte concrete: maggiori servizi e più flessibili per venire incontro a tutte le lavoratrici, una minore imposizione fiscale e contributiva per le aziende che assumono le donne, contributi alle aziende che offriranno servizi nursery al proprio interno…

Proposte forse semplicistiche, di certo non esaustive perché di fronte alla complessa problematica vi possono essere numerose soluzioni diverse e migliori, ma si tratta pur sempre di esempi di soluzioni concrete (peraltro finanziabili con il recovery fund) che oggi ancora mancano in un paese capace di autocriticarsi ed evocare buone intenzioni, ma ancora incapace di analizzare con obiettività le tante difficoltà che le donne affrontano ogni giorno e di trovarne finalmente le soluzioni.

“Le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni” San Bernardo